Nè accanimento nè eutanasia
Nè accanimento nè eutanasia
1. Con l'aumento delle possibilità tecnologiche può accadere che si ecceda nell'uso di terapie in malati che non ne traggono giovamento. Vuoi perchè si tratta degli ultimi momenti della loro vita, vuoi perchè queste terapie possono portare ad una sopravvivenza dolorosa e gravosa, se non addirittura ad una nuova patologia provocata da quella stessa terapia. Si parla, in tal caso, di "accanimento terapeutico". Ferma restando la liceità della sospensione di un intervento che si configura come accanimento terapeutico, è da sottolineare, però, come si faccia un uso strumentale di questo concetto al fine di favorire il diffondersi di una cultura eutanasica. Definita in modo suadente "dolce morte" l'eutanasia viene presentata come la via da perseguire per porre fine ad una sofferenza "insopportabile". Essa si traduce, di fatto, in un'anticipazione deliberata della morte. In nome della libertà individuale, si vuole annullare la fonte stessa della sua ragion d'essere, ovvero la vita, che è di per sè un bene indisponibile. Una riflessione sull' eutanasia richiede di analizzare anche le ragioni che possono motivare una richiesta in tal senso, decodificando la domanda. E' stato, infatti, messo in evidenza come la richiesta di eutanasia sia spesso motivata da ragioni psicologiche o psichiatriche transitorie o curabili e dalla inevitabile paura del dolore e della sofferenza. In questo senso, la ricostruzione dell'autostima e del senso di accettazione di sè o la cura di una sindrome depressiva portano frequentemente il malato a cambiare idea. Inoltre un'adeguata terapia antidolorifica e il sollecito accompagnamento del malato consentono di attenuare o rimuovere il dolore e di alleviare il senso di sofferenza, riducendo drasticamente la richiesta di eutanasia. Di fronte al dolore, alla sofferenza e alla morte, invece, la medicina offre una sensazione di impotenza che prelude all'abbandono del malato e della sua famiglia alla solitudine.
2. La proposta dell'eutanasia, che non è assolutamente un atto medico, svela il suo vero volto: una scorciatoia per ridurre la spesa pubblica, un rifiuto dell'impegno umano e clinico a fianco del malato e una fuga di fronte alla paura della morte, del dolore e della sofferenza. Sta inoltre emergendo come, dietro la richiesta di eutanasia da parte di alcuni settori della società, vi sia anche una vera e propria "handifobia", ovvero la paura e il rifiuto della disabilità. Si impone così un modello culturale teso a rimuovere (negare) il dolore, la sofferenza, la morte, impedendo così di affrontarli in modo pienamente degno. Si sta sviluppando, per contro, un'idea di "qualità della vita" misurata su standard di efficienza, salute e forma fisica: una vita senza questo tipo di "qualità" non sarebbe degna di essere vissuta e può essere "oggetto" di libera scelta. Di conseguenza alcuni potrebbero avere più potere di altri sulla vita altrui, decidendo quando e come spegnerla.
3. Seppur a parole contrari all'eutanasia, molti sono indotti ad accettarla o praticarla nella sua forma indiretta o "passiva", chiamata anche "abbandono terapeutico" o "sospensione delle cure". Si tratta di una zona grigia, che si cerca di rendere addirittura nebbiosa in modo da poterla allargare alla disabilità tout court. Un esempio, in tal senso, è la proposta di sospendere le cure in epoca neonatale per i bambini gravemente malati o prematuri per i quali sia possibile la sopravvivenza ma con un rischio elevato di disabilità. Occorre essere molto vigili su questo punto e sull'eventualità, tutt'altro che remota, che si apra la porta all'eutanasia attraverso la formulazione di iniziative di ambigua fattibilità e validità.
4. Di fronte al disinteresse e all'abbandono di chi si trova in condizioni di estrema fragilità, l'Associazione Scienza & Vita si impegna a:
- informare - in modo corretto e chiaro - sui termini del dibattito in tema di cure palliative, accanimento terapeutico ed eutanasia;
- promuovere una cultura che favorisca la rimozione delle cause psicologiche e sociali che possono indurre il malato a guardare alla morte come all'unica via d'uscita;
- contrastare la tendenza che la morte possa essere indotta sia direttamente sia indirettamente sulla base della presenza di disabilità, perchè l'identificazione dell'handicap con una condizione di vita "non degna" è da rigettare e da contrastare come incivile e non rispettosa dei diritti umani;
- intervenire a livello sociale affinchè si incrementi l'accesso dei malati e il contributo dei medici alle cure palliative e alla terapia del dolore.